Fondi pensione: istruzioni per l′uso

legge delega n. 243/2004: pensione e smobilizzo del TFR

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Da almeno un decennio, il sistema pensionistico obbligatorio e complementare è un cantiere legislativo in profonda evoluzione e caratterizzato da una continua produzione di norme. Ultima tra tutte, la legge delega n. 243/2004, che rivoluziona la materia pensionistica con ulteriori modifiche riguardanti l’età pensionabile, lo smobilizzo del TFR e il suo conferimento alle forme pensionistiche complementari.

La novità strutturale più importante della nuova legge è, senza dubbio, la possibilità di potenziare i fondi pensione aziendali e di categoria, mediante lo smobilizzo e il conferimento del TFR.

Il vero nome della liquidazione è “trattamento di fine rapporto” (TFR) ed è un capitale che il lavoratore ottiene quando si dimette.

Il lavoratore rinuncia ogni anno a circa il 7 per cento della sua retribuzione lorda e questi soldi vengono accantonati dall’azienda. Quando ci si dimette, l’impresa restituisce il denaro applicando una rivalutazione pari al 75 per cento dell’inflazione annua più l’1,5 per cento. Sembra difficile ma non lo è: poniamo che ora l’inflazione sia dell’1,7 per cento. Il 75 per cento di 1,7 è 1,2. Sommando 1,5 si arriva a 2,7. Tolte le tasse, il valore è 2,4 per cento: questo è il tasso con cui si rivaluterebbero quest’anno i versamenti nella liquidazione. Non è un interesse basso se messo a confronto con altre forme di investimento. Ed è un sistema sicuro che garantisce la protezione matematica dal carovita se l’inflazione resta sotto il 6 per cento.
Tra meno di sei mesi (cioè da gennaio 2006 e fino a giugno) i lavoratori delle aziende private saranno chiamati a decidere se mantenere l’attuale sistema della liquidazione o se passare ai fondi pensione.

Dal 1° gennaio fino al 30 giugno (salvo slittamenti) i lavoratori privati dovranno scegliere se continuare a farsi accantonare dalle aziende quasi il 7 per cento della retribuzione lorda per costruirsi la cara, vecchia liquidazione; oppure se trasferire questi soldi ai fondi pensione, facendo finalmente decollare la cosiddetta previdenza complementare che affianca il sistema pubblico (cioè l’Inps).

La rivalutazione delle somme accantonate presso i fondi a favore del dipendente dimissionario o che ha maturato l’età pensionabile avviene secondo gli specifici criteri di gestione del fondo.

Se il lavoratore dice no, non cambia nulla. Se dice sì, dovrà anche indicare a chi far versare questi soldi: al fondo pensione di categoria o aziendale; a un fondo aperto, collocato da banche, società di assicurazioni, società di gestione; a un piano assicurativo offerto dalle compagnie d’assicurazione.
Se infine il dipendente sta zitto, il suo silenzio verrà interpretato come un assenso e i suoi futuri versamenti verranno dirottati sul fondo di categoria o, se questo non c’è, in uno speciale fondo dell’Inps.

Una volta intrapresa la strada del fondo non si può tornare indietro alla vecchia liquidazione. Invece chi ha detto no ma poi ci ripensa può trasferire quando vuole i versamenti nei fondi pensione.

Domanda: che fine fanno i soldi accantonati finora per la liquidazione?

Restano dove sono e si intascano quando ci si dimette.

A meno che il lavoratore non voglia dirottare anche questi soldi verso il fondo, un’eventualità che probabilmente verrà prevista in futuro.
La riforma delineata metterebbe fine ad uno strumento familiare e rassicurante, grazie al quale intere generazioni si sono comprate la prima o la seconda casa, e che rappresenta un modo economico di finanziamento per le imprese.
Le imprese, infatti, se dovessero farsi prestare gli stessi soldi dalle banche si sentirebbero chiedere un interesse medio del 6-7 per cento. E poiché si parla di flussi da 13 miliardi di euro all’anno, l’impatto della riforma è ancorché notevole.

Articolo a cura di Cono FEDERICO